L’architetto nella crisi del contemporaneo

Nella nostra quotidianità si ripropone costantemente la tensione tra l’esistenza individuale e la struttura della società. In un mondo dominato dall’idea di produzione seriale e di efficienza tecnica, come può esprimersi la voce individuale dell’architetto? Come può il professionista convivere con la crisi del contemporaneo senza farsi annientare?

architetto crisi contemporaneo

La tecnica come crisi

Ciò che filosoficamente si identifica come ‘civiltà della tecnica’ ha radici antiche. In tantissimi si sono dedicati allo svisceramento del problema a partire soprattutto dall’Ottocento: Spengler, Nietzsche, Heidegger, Severino, Weil, per citare alcuni nomi ‘inevitabili’. Una svolta fondamentale, le cui conseguenze continuano a riflettersi ancora oggi, è avvenuta con la rivoluzione industriale e in particolare con l’affermarsi di quella specifica struttura della realtà contraddistinta da una produzione seriale di oggetti, servizi, soluzioni. Questa specifica visione del mondo – non una tra le tante, ma quella attualmente dominante in tutto il globo terrestre – fonda il suo potere sull’omologazione e sulla equivalenza di fatti, opinioni ed azioni: qui perde valore il concetto di ‘verità’ e si impone la ‘dittatura’ delle opinioni. La realtà fattuale perde di consistenza e lascia il terreno a forme di astrazione in cui le ‘cose’ perdono il loro valore esistenziale trasformandosi in pura narrazione e informazione. Questo sistema-di-realtà[1], mette in crisi e cerca di annullare il valore del contributo individuale. Come può un professionista far valere la propria voce? Se ciò che viene richiesto è semplicemente di rispondere alle esigenze di un sistema di mercato votato alla serialità e ripetizione automatica dei processi, come si può conquistare lo spazio di un’azione mossa da una spinta individuale che non scada nell’individualismo sfrenato?

architettura tecnica opinioni informazioni

Architettura contemporanea: culto dell’individuo oppure espressione di volatile identità

Per sua natura, la forza che sta alla base della contemporanea civiltà della tecnica, si muove verso una crescita infinita e un illimitato potenziamento di sé. Lo scopo della tecnica è in sostanza di produrre mezzi per realizzare scopi e di offrire nuove soluzioni a nuovi o vecchi problemi che spesso la tecnica stessa crea e alimenta. Gli architetti –  come tutti – sono inevitabilmente inseriti all’interno di questa logica ‘produttiva’. Una delle vie per uscire dall’anonimato è quella di aderire profondamente al sistema-di-realtà in cui si agisce, utilizzando la sua propensione alla spettacolarizzazione e alla performance. Gran parte dell’architettura contemporanea fa leva sulle potenzialità (quasi) infinite che offre la tecnologia (costruttiva e informatica) per realizzare e commercializzare i propri ‘prodotti’.  Perché di questo si tratta: di prodotti. È quasi impossibile oggi utilizzare il concetto di ‘opera’ che appartiene a un orizzonte di pensiero in cui esistevano delle gerarchie di valore capaci di attingere alle categorie della bellezza, armonia, proporzione. In una visione del mondo votata alla equivalenza di fenomeni e azioni, alla produzione seriale di cose ed eventi, non c’è spazio per un reale valore della singolarità dell’opera individuale. La visione tecnica del mondo non lo consente.

architettura crisi produzione seriale

La figura dell’archistar è sintomatica in questo senso: l’architetto diventa una ‘stella’ nel firmamento della tecnica, capace di splendere finché il ‘mercato’ lo consente. Non c’è limite in questo caso all’arbitrio personale, ogni forma è lecita. Visto più da vicino, si tratta però di uno status profondamente fragile, sottoposto costantemente al rischio di tramontare nella molteplicità indistinta di altrettante potenziali ‘stelle’. Il culto narcisistico dell’individuo rivela, dunque, il suo vero volto: quello cioè di una ‘maschera’, di una identità volatile, effimera e ‘serva’ (nel senso letterale ‘che serve’) del sistema-di-realtà dominante.

archistar

Tecnica e architettura

Nella parola ‘architettura’ è insita la presenza della tecnica come techné greca, cioè come arte del costruire, sapienza capace di orientare la realizzazione di un manufatto. Nello stesso tempo in ‘architettura’ riecheggia qualcosa d’altro che rimanda a un concetto che anche nella lingua greca si presta a una moltitudine di contesti: arché, ossia principio o modello originario. Ma quale principio? Qui lo spettro interpretativo si amplia moltissimo. In generale ci si riferisce ai principi o modelli originari che guidano il processo di progettazione, mentre in alcuni contesti letterari (dall’antichità al Rinascimento) il termine ‘architettonico’ è stato usato anche nella sua declinazione generica di attività situata in principio, da cui derivano altri tipi di attività che possono anche non avere a che fare con la costruzione degli edifici.

arché armonia proporzione bellezza

L’arché è il concetto che mette in crisi l’idea contemporanea dell’architettura legata all’esigenza di esprimere e usare al meglio il potenziale tecnico e tecnologico di strutture, materiali e processi. Il codice antico che in sostanza riconosceva e rispettava la tradizione vitruviana (successivamente ripresa ed elaborata nella trattatistica rinascimentale e neoclassica) è andato perduto. Una volta indeboliti (o decaduti) i concetti di ordine, proporzione, ritmo, armonia delle parti, si è aperto uno spazio informe in cui l’arbitrio personale ha stretto un’alleanza con gli strumenti della tecnica, privando così l’architettura dell’ispirazione a un principio-arché legato ai modelli dell’antichità e al bagaglio conoscitivo del passato. Bisogna immaginare ‘architettura’ oggi come un concetto monco, privo di una parte costitutiva fondamentale: l’imprescindibile binomio arché e techné ha finito per rompersi e svilirsi, spostando l’ago della bilancia verso il dominio della tecnica.

Quale via d’uscita

Come in tutte le cose che appartengono alla complessità del reale, la via (o le vie) d’uscita non è univoca e nemmeno prestabilita. Bisogna costruirla. Gli’architetti nella crisi del contemporaneo sono chiamati oggi a una riflessione profonda sulla loro professione, volta a individuare i possibili ‘ingredienti’ capaci di modificare la formula attuale entrata in crisi da diverso tempo. Che tipo di ‘resistenza’ si può opporre all’avanzamento della ‘macchina’ tecnologica, così strettamente legata alla macchina ‘burocratica’? Come si può convivere con la costante esigenza di operatività che proviene dal mercato del lavoro senza rinunciare all’arché?

via d'uscita arché tecnica

Innanzitutto va dato un nome a ciò che l’arché può significare oggi. È da qui che può emanarsi il contributo individuale di ciascun professionista, che nel suo ‘piccolo’ può tentare di ricomporre e ricostituire un linguaggio dove la tecnica è ricondotta alla sua funzione originaria di strumento per la realizzazione dell’opera, e non più di esclusivo orizzonte d’espressione. Da lì si potrà poi procedere.

[1]Utilizzeremo questo concetto (in originale reality system) messo in campo dal giovane filosofo italiano Federico Campagna nel suo recentissimo testo “Technic and Magic”, ripubblicato numerose volte in Inghilterra in soltanto tre anni. ‘Sistema-di-realtà’ consente di evitare l’utilizzo del termine ‘sistema’ (troppo condizionato dai cascami ideologici), e nello stesso tempo aiuta a veicolare l’attenzione verso il concetto di ‘realtà’.

Kamela Guza
Kamela Guza

Dottore di Ricerca in Storia dell'Architettura, ricercatrice e docente. Ha una passione per la scrittura e nel tempo libero si dedica alla traduzione letteraria. Redattrice del magazine di ProgettazioneCasa.

logo_progettazionecasa.com

SEGUICI SU