Casa o Cooperativa?
Tra le tendenze abitative contemporanee, un settore consistente è occupato dal cosiddetto Social Housing. Sviluppatosi prevalentemente nell’Europa settentrionale, questa categoria di alloggi si sta diffondendo anche in Italia. In questa sede si vuole analizzare il carattere architettonico e i vantaggi correlati a questo tipo abitativo, ma è necessario prima dare delle brevi precisazioni di carattere tecnico.
Le “abitazioni sociali” nascono come case vendute a canone calmierato, nella cui vendita lo Stato interviene economicamente attraverso prestiti, sovvenzioni, garanzie. Nell’immaginario comune questo si traduce nell’accezione negativa acquisita dagli alloggi economici-popolari: il peggior posto dove chiunque in Italia si augurerebbe di vivere.
Come accennato, vogliamo in questa breve descrizione parlare del tema in senso più ampio, abbracciando tutte le categorie del vivere “sociale” in termini di vicinanza, cooperazione, comunità. Il Social Housing infatti, è caratterizzato da un numero medio alto di appartamenti aggregati, e dalla presenza di spazi comuni di servizio, utilizzabili dalle famiglie che occupano le abitazioni. Possiamo immaginarlo come un condominio evoluto, in cui non si condivide solo lo spazio scala e ascensore, ma anche spazi lavanderia, sale hobbies, gioco, spazi giardino. Anche i più contrari alla vita condominiale riconosceranno che esiste un vantaggio innegabile nella possibilità di possedere spazi aggiuntivi semiprivati, che senza questa tanto preoccupante condivisione sarebbe impossibile mantenere. In altre parole, oltre la propria casa rigorosamente privata (a meno che non lo si desideri, non è previsto che inquilini estranei utilizzino la vostra televisione) si può accedere a una serie di spazi accessori dividendo gli oneri di mantenimento con le altre famiglie.
Ma la filosofia del Social Housing va ben oltre. Ho accennato al concetto di comunità, che è uno degli elementi fondanti di questo tipo abitativo. Questo modo di vivere mira in effetti a migliorare la vita dei singoli attraverso la cooperazione e l’aiuto fornito dai vicini. Tutto quello che costruisce uno scenario socialmente felice suona oggi ingannevole, promozionale, utopico e ridicolo. Nessuno di noi ha tempo o voglia di cimentarsi in strani esperimenti sociali dalle evoluzioni incerte. In realtà quello di cui stiamo parlando è più banale di quanto sembri. Non è necessario un particolare altruismo per sfruttare al massimo tutti i vantaggi del Social Housing. Tutto è predisposto perché ognuno ottenga il vantaggio massimo dall’attuazione di meccanismi comunitari. La predisposizione di alloggi di dimensioni e tagli differenti fa sì che coesistano utenti di età e stili di vita differenti. Questo significa che ogni nucleo avrà tendenzialmente orari e modalità diverse di utilizzo degli spazi comuni; la dotazione di ambienti non strettamente caratterizzati permetterà lo svolgimento di più attività contemporaneamente: se sono presenti i vicini anziani che giocano a carte ogni pomeriggio, qualsiasi madre sarà più tranquilla a lasciar giocare i bambini fuori casa se c’è un occhio vigile a controllare.
In aggiunta, questo tipo architettonico è diventato terreno di fertile sperimentazione per gli architetti, ed è facile trovare esempi di alta qualità architettonica. Sembra infatti che perfino le grandi firme stiano tornando a interessarsi all’edilizia abitativa, dopo un periodo di snobismo più o meno diffuso intercorso dalla fine della furia ricostruttiva degli anni sessanta e settanta. Restando nel nostro paese, uno degli ultimi esempi è il villaggio costruito a Milano (Cascina Merlata) che porta la firma di Mario Cucinella.
Tenendo presenti queste caratteristiche, nel momento in cui ci si trova a scegliere il proprio contesto di vita si può pensare al Social Housing. È ad oggi in Italia una tendenza non ancora matura, ma è prevista in forte crescita nei prossimi anni. Basta ricordare che sta a noi aprirci più o meno ai meccanismi cooperativi descritti; dalla semplice condivisione del viaggio in ascensore alla coltivazione di un orto comunitario c’è una vasta gamma di livelli intermedi.
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