Erasmo Figini, tra interior design e accoglienza. Quando la voce del territorio chiama…

Erasmo Figini interior design accoglienza
Erasmo Figini

Erasmo Figini – noto designer d’interni – ci racconta della sua professione e della straordinaria vicenda intorno alla nascita ed espansione di Cometa, un luogo di accoglienza, educazione e formazione. Una prestigiosa realtà italiana in cui la dimensione umana dell’apertura e del dialogo con l’altro si coniuga con la formazione professionale e la realizzazione di oggetti di design davvero unici. Scopriamo insieme la sua storia.

Per rompere il ghiaccio, partiamo dall’inizio: come è diventato designer d’interni? Che percorso di formazione ha seguito nella sua carriera?

La mia formazione inizia con l’ingresso nell’azienda di mio padre, un’azienda all’ingrosso di vini. Io volevo andare a Brera, ma era il 1968 e io ero una testa piuttosto calda. In mezzo alle lotte famigliari, comuni a tutte le famiglie e piuttosto forti nel mio caso, mio padre mi disse: no! Nel ’68 a Brera, no. Credo che col senno di poi, mio padre avesse avuto ragione. Probabilmente se fossi andato a Brera in quel momento mi sarei perso. Così ho accettato di fare un percorso di ragioneria per prepararmi a prendere in mano l’azienda di famiglia. Questo fatto l’ho subito in maniera dolorosa e poi ad un certo punto ho deciso di studiare quello che mi interessava – l’interior design – privatamente. Questa è in breve la mia storia. Poi ho avuto un incontro fortuito con il signor Antonio Ratti (fondatore dell’omonima azienda di tessuti a Como). Lui voleva essere il primo a Como a lavorare coi tessuti d’arredo e capendo il mio interesse di giovane arredatore per i tessuti, mi propose di iniziare a lavorare per lui come stilista nella divisione di ‘tessuti di arredo’. Ho portato avanti negli anni il lavoro di interior designer, di arredatore, di restauratore degli arredi oltre che di designer di tessuti d’arredo e di oggetti. È l’ambito della casa quello dove mi sono sempre mosso e intorno a esso ho costruito la mia attività. Poi, come lei saprà è accaduto un fatto nella mia vita che mi ha virato l’orientamento e lo sguardo e col tempo è nata Cometa.

A proposito di Cometa… che cosa l’ha spinta e cosa la spinge adesso a portare avanti un progetto così complesso e impegnativo?

Cosa mi ha spinto? Un fatto del tutto inaspettato, in un momento difficile della mia vita, drammatico, per una serie di fatti accaduti che mi avevano messo con le spalle al muro e obbligato a farmi delle domande. Avevo 35 anni ed ero in un certo senso “nel mezzo del cammin di nostra vita”, nella selva oscura, ecco, più o meno così. Arrivavano domande importanti sul senso della vita, sul senso del dolore. È arrivata casualmente una telefonata, una cosa totalmente inaspettata. C’erano delle persone che cercavano dove poter collocare un bambino che si trovava presso la loro struttura, nato già con l’AIDS e orfano perché i genitori erano morti tutti e due proprio di AIDS. Questo bambino di 5 anni non poteva restare in un centro per adulti. In quel momento c’era molta paura intorno all’AIDS e al problema del contagio per cui non trovavano una famiglia. Si è avvicinata mia moglie al telefono e ha detto “sì”. Questo nostro “sì” ha generato uno stupore derivato dal fatto che lei avesse detto esattamente quello che io pensavo ma che non osavo dire mentre ascoltavo la telefonata. Quella era una cosa talmente assurda che non osavo neanche dire. Lei invece, come se avesse letto nel mio pensiero mi disse: “Erasmo ma che famiglia vuoi cercare, prendiamolo noi!”.

Cometa accoglienza ragazzi
I ragazzi di Cometa al centro diurno.

È arrivato a casa un bambino di 5 anni malato di AIDS e ha trovato già una bambina di 8 e un bambino di 3. Accorgersi in breve tempo di riuscire ad amarlo come un figlio naturale, ha generato veramente uno stupore inaspettato. Bisogna viverla una cosa del genere, per poterla capire, non si può raccontare. Il bambino è poi guarito nel tempo e adesso è un uomo. Questo fatto ha generato certamente un cambiamento di rotta, ma non è che ho deciso volontariamente di andare avanti con l’attività dell’affido. Sono stati i servizi sociali che dopo due anni ci hanno chiesto se ce la sentivamo di prendere un altro bambino con un’altra storia e così via. Cometa nasce sin dall’inizio col coinvolgimento di mio fratello come medico, per darmi una mano col caso disperato del primo bambino e per tranquillizzarmi assieme a dei suoi colleghi sugli aspetti del contagio. Erano usciti i primi studi sull’AIDS all’epoca. I secondi bambini arrivati, sono stati accolti uno da mio fratello e uno da me ed è nata così questa prima versione di Cometa legata essenzialmente all’accoglienza. Cioè al fatto di accogliere in casa tua degli estranei e guardarli e amarli; accoglierli come se fossero figli, come accogli un tuo figlio. Tuo figlio lo accogli e basta e non sai come crescerà e chi diventerà.

Adesso però è diventata una struttura gigantesca…

È così, è vero, ma non è mai nato niente sulla base di un calcolo preliminare. Ciò che si è generato, è stato un tentativo di rispondere alle provocazioni del territorio. I servizi sociali mi hanno chiamato e mi hanno chiesto di prendere in affido il primo bambino ed è nato così ‘l’affido residenziale’. A noi si sono unite altre famiglie (attualmente intorno alle 60-62 famiglie) desiderose di essere al servizio anche loro dei più bisognosi. I bambini dati in affido che poi sono stati anche addottati sono più di 100. Il comune di Como mi ha chiesto poi se me la sentivo di accogliere un bambino anche nella forma dell’affido diurno. Adesso ne abbiamo 156. In questo momento ci sono tutti i problemi legati al Covid19, ma normalmente questa attività ricade sotto la formula del “Manto”: arrivano da noi bambini proveniente da varie scuole di Como, desiderosi di un luogo familiare.

Cometa accoglienza interior design
La grande sala da pranzo.

Mangiano in due turni nella nostra sala da pranzo, l’ex-taverna come la chiamavamo ai tempi, li sosteniamo nello studio pomeridiano e poi li riaccompagniamo nelle loro case. Da qui è nato poi il sostegno alla genitorialità, tramite un team di medici a supporto delle famiglie che lo richiedono. Successivamente è emerso il bisogno di dare vita a una scuola professionale, per dare dignità all’intelligenza delle mani (adesso abbiamo circa 450 studenti) e preparare i ragazzi più grandi al mondo del lavoro.  Il nostro modo di lavorare può essere sintetizzato nella formula “accogliere per educare”, la stessa formula che metti in pratica per un figlio: tu lo accogli, lo ami, e lo devi educare, lo devi formare e prepararlo per consentirgli di lavorare. Nel mio lavoro notavo spesso che c’era la necessità di insegnare alle nuove generazioni come portare avanti l’artigianato e il lavoro in un dato modo e sono nate così le botteghe di Cometa, come ad esempio la Contrada degli Artigiani, veri e propri luoghi di lavoro. Se devi formare un ragazzo e concretamente prepararlo al mondo del lavoro devi farlo lavorare nei veri luoghi di lavoro, dove può sin da subito confrontarsi con il cliente. Questa complessità che lei mi chiedeva prima è stata costruita a partire da veri e reali bisogni. Cerchiamo di lavorare con l’aiuto degli educatori, degli insegnanti, dei tutor e di tutte le persone che collaborano con noi facendo leva sulla sensibilità e l’attenzione a guardare ogni singola persona per quel valore assoluto che è, essendo ognuno di noi un pezzo unico.

interior design botteghe artigiani Cometa
Durante il lavoro nelle botteghe degli artigiani.

Lei parla spesso del valore unico di ciascun essere umano. Come viene valorizzato e come si esprime questo aspetto all’interno di Cometa?

Attraverso la coscienza di trovarmi ogni volta, indipendentemente dall’età anagrafica, di fronte a un essere umano unico, come in questo momento con lei. È un mistero quello che ho di fronte, un pezzo unico. Ho la coscienza che lei è unica e irripetibile e (non so se ha la fede o no) anche eterna. Ma quantomeno irripetibile e unica, è scientificamente provato… Per cui, se io ho presente sempre (e cerco di averla sempre presente) questa coscienza, guardo l’altro in maniera diversa. L’altro si sente guardato con questa intensità. E allora può nascere un rapporto di lavoro, può nascere un rapporto diverso. I ragazzi spesso questo lo capiscono. Per esempio, il fatto che io tutte le mattine li aspettavo sul marciapiede, faceva sentire loro accolti, non controllati. Loro e io sentivamo che era una cosa diversa.

Un aspetto interessantissimo che colgo in quello che mi racconta, è questo agire senza partire da un preciso atto di volontà interna, come se tutto quello che ha costruito fosse nato da una richiesta del mondo.

È quello che mi corrisponde di più in realtà. A raccontarla così sembra una bella storiella, una bella favola, molto facile per certi versi; ma anche pesante per altri versi, per la quantità di figli che ho a casa, il lavoro e le relative problematiche, soprattutto in questo momento con tutto quello che stiamo vivendo, i problemi degli adolescenti e dei più piccoli ecc. ecc. Però, perché tengo a tutto ciò? Perché sono dentro ancora e tengo? Quando nei momenti di stanchezza mi chiedo umanamente: ma scusa, chi te lo fa fare? Perché si sa che gli sforzi umani non sempre tengono nel tempo. Io però trovo qui la mia corrispondenza alla realtà, alla vita. Se paragono la mia vita di adesso – con tutte le sue fatiche, le stanchezze e le gioie – alla vita di prima, non tornerei indietro per nessuna ragione al mondo. Avevo un bellissimo lavoro (ce l’ho ancora), facevo viaggi in tutto il mondo con mia moglie che adesso magari non faccio più. Facevo tante cose che adesso non faccio più. Ma considerando l’intensità con cui vivo ora non tornerei mai più indietro. E non è retorica, è verità.

interior design Oggetti Cometa
Oggetti di design realizzati nelle botteghe di Cometa.

Come è mutato il suo lavoro di designer da quando esiste Cometa?

Il mio lavoro in sé non è mutato. Ho le stesse esigenze che avevo prima e cerco di trasmetterle ai giovani. Cerco di trasmettere la passione, l’intensità, l’attenzione, affinché questo modo di lavorare che attira i clienti possa continuare anche se non ci sono più io. All’ingresso del laboratorio di Cometa c’è un passo di Charles Péguy che recita più o meno così: ogni pezzo deve essere fatto non per il salario, non per il padrone ma perché il lavoro fatto in un certo modo ti gratifica egli stesso e ti realizza. Lavoriamo con questo metodo: per la soddisfazione di fare una cosa bella e di vedere un cliente felice che si muove bene in casa.

I pezzi di design che lei utilizza nei suoi lavori con i clienti, vengono prodotti all’interno di Cometa o collaborate anche con aziende esterne?

La maggior parte vengono prodotti all’interno di Cometa, quando è possibile. Poi chiaramente ci sono degli oggetti che vengono acquistati, o direttamente dal cliente, oppure suggeriti da me. Ma in generale utilizziamo tutto quello che viene prodotto o trasformato qui. Perché spesso trasformiamo anche oggetti vecchi senza un valore commerciale ma affettivo, elementi d’arredo appartenuti ai clienti che vengono trasformati con delle tecniche di artigianato fino a diventare dei pezzi unici piacevoli.

interior design Oggetti Cometa
Oggetti di design realizzati nelle botteghe di Cometa.

La prospettiva del pezzo unico di cui abbiamo parlato relativamente all’essere umano, è riflessa quindi anche negli oggetti di design che producete? Immagino non ci sia una produzione in serie degli oggetti…

Sì, è esattamente così. Anche in questo caso è nato tutto a partire da un fatto inatteso. Ho visto come era difficile all’inizio appassionare i ragazzi alla formazione professionale. È arrivata di nuovo una telefonata di un’azienda che fabbricava sedie in stile e aveva chiuso l’attività. Doveva vendere il capannone con i prototipi di 200 sedie di diversi stili ed era un peccato buttarle via. Allora con dei ragazzi siamo andati e abbiamo fatto l’inventario. Ho notato come partendo dal fare, risultava più facile appassionare i ragazzi, perché le mani hanno un valore assoluto. Se metti i ragazzi a lavorare con le mani si appassionano, e vedi nascere l’autostima. Vedevo che partendo dal fare risultava più facile anche trasmettere il sapere necessario per riuscire bene nell’impresa. E c’è sempre un nome proprio a capo di ogni iniziativa.

È come se attraverso la concretezza del fare potesse nascere veramente il desiderio di conoscenza. È così?

Sì, infatti la sintesi del nostro metodo è: dal fare al sapere. E sono arrivati nel tempo anche importanti riconoscimenti: dalla Commissione Europea (siamo tra le 10 eccellenze in Italia per la formazione) e dall’UNESCO l’anno scorso.

interior design Cometa strutture architettoniche
Le strutture architettoniche che ospitano le numerose attività.

Le strutture architettoniche che ospitano le attività di Cometa, sono state costruite ex-novo oppure sono di recupero? C’è un legame tra il tipo di attività e la configurazione formale degli spazi?

C’è un legame fortissimo in ogni aspetto di Cometa che determina il brand. Questo cerco di infondere sempre ai ragazzi: se devi andare a lavorare per un certo brand, devi adeguarti a quel brand lì. E c’è un legame strettissimo con gli spazi, perché a me i luoghi e le case è come se mi parlassero, ora non mi prenda per matto… è come se i luoghi mi dicessero: ridammi la mia dignità! La casa che è stata acquistata da me e mio fratello negli anni ’90 era un rudere e successivamente per i fatti che le ho raccontato, è stata trasformata in una serie di spazi di accoglienza. Quando sono stati costruiti gli altri nuclei di Cometa fino alla scuola, è come se ci fosse stata dietro sempre la stessa mano. È come l’evoluzione di un uomo: sei sempre tu, ma cambi il modo di vivere, cresci, cambia il modo di vestirti ecc. e lo stesso è Cometa nel suo nucleo centrale. Ciò è avvenuto anche quando abbiamo trasformato questo vecchio capannone degli anni ’60 nella attuale Bottega degli Artigiani. Partendo da quello che c’è operiamo una trasformazione e la gente dice: ah, qui è Cometa! Ma non so neanche dirle perché. C’è una passione, un modo di vedere le cose e di trasformarle e valorizzarle. La stessa passione che si accende quando si prende un mobile vecchio e lo si fa diventare un pezzo unico.

interior design bar anagramma
Gli interni del bar “Anagramma”.

Mi ha raccontato delle cose straordinarie…

Come ultima cosa, mi viene in mente un luogo che è nato recentemente. Ci chiedono di aprire un bar vicino alla scuola che abbiamo a Cernobbio. Noi non apriamo bar, ma c’erano dei ragazzi Down che una volta finita la scuola vedevamo che venivano collocati, posteggiati, ma non avevano un vero e proprio lavoro. E questo dava ansia e tristezza a loro e ai genitori. È nato così il bar “Anagramma” dove adesso lavorano 11 ragazzi con problemi fisici tra cui alcuni down. Questo luogo è bello, perché anche la bellezza fa parte del nostro metodo educativo. Una persona che frequenta il bar non viene per fare una carità a dei ragazzi con problemi ma viene perché è uno dei più bei bar di Cernobbio, dove i prodotti sono tra i migliori in circolazione, il servizio è attento e gradevole e come ultima carta: mentre mangi e bevi in un posto in cui stai bene, stai facendo un’azione sociale di valore. Ed è stato arredato semplicemente con dei pezzi di botti che mi avevano regalato anni fa, ma nessuno è in grado oggi di riconoscere l’origine del legno dopo la trasformazione che ha subito. La botte diventa un pezzo unico, un pezzo unico è il ragazzo e un pezzo unico è questo bar particolare. Il tema è sempre quello.

*Tutti i credits delle fotografie appartengono a Cometa.

 

Kamela Guza
Kamela Guza

Dottore di Ricerca in Storia dell'Architettura, ricercatrice e docente. Ha una passione per la scrittura e nel tempo libero si dedica alla traduzione letteraria. Redattrice del magazine di ProgettazioneCasa.

logo_progettazionecasa.com

SEGUICI SU